“Festeggiar cantando”, un articolo del Maestro Vincenzo Grisostomi Travaglini in “L’Opera International Magazine”, Febbraio 2021″Il rapporto tra la musica e il testo, alle radici nel melodramma nelle Corti italiane”

Il festeggiar cantando, è uno scherzo in parole e musica, quando nel fluire del tempo ci si raccoglie, nel dilettarsi della narrazione. Quando più si ha bisogno di distrazione e citando William Shakespeare, perché: «tutto il mondo è palcoscenico». Il gioco di parole del titolo è presto svelato, il Recitar cantando è la locuzione che dà il nome a quel nuovo stile di canto con il quale, all’inizio del Seicento, si vuole individuare la nascita del melodramma ed il festeggiare richiama l’eleganza delle corti italiane, da dove nei secoli si diffonderà il gusto per una vita raffinata, nel far rinascere la cultura della vita sociale. La musica, tuttavia, non si connota solo in senso individuale e intimistico, ma riveste un importante ruolo pubblico; questa finalità si riflette ugualmente nella produzione letteraria. Di conseguenza, con autorità si propone alla nostra attenzione un terzo argomento. Dal recitar cantando e festeggiando, il rapporto tra la musica e il testo.Basti pensare alla mousiché greca, poesia cantata, accompagnata dalla sola lira. Nel corso dei secoli il tema musicale si andrà a sviluppare anche nel poema allegorico il cui massimo esponente sarà proprio uno dei Padri della lingua italiana, ovvero Dante Alighieri, la cui citazione è d’obbligo nel 750° anniversario dalla nascita. La Commedia dantesca è poema allegorico per eccellenza, che non si propone soltanto come narrazione fantastica o come metafora dell’itinerarium mentis in Deum, ma anche come compendio dello scibile umano. Nel poema del sommo Poeta suggestioni sonore e visive hanno sempre il compito di rafforzare l’efficacia narrativa. D’altronde la musica e la letteratura sin dagli albori dell’epoca classica si sono congiunte in un unico anello divenendo, così, uno dei temi d’antonomasia nell’ambito letterario. Scrive il poeta e critico letterario Alessandro Cabianca: «Se per noi, oggi, la poesia si identifica con la parola scritta, in antico si identificava con un particolare modo d’intonazione del racconto, che differiva dal semplice parlare per il ritmo, per le pause e, soprattutto, per l’accompagnamento di strumenti musicali (…)».Le prime notizie sicure relative alla conoscenza musicale di Dante le troviamo in Boccaccio: «Sommamente si dilettò in suoni e canti nella sua giovinezza e a ciascuno che a quei tempi era ottimo cantore e sonatore (…)» e ancora il Filelfo scriverà: «Canebat suavissime, vocem habebat apertissimam, organo citeramque callebat pulcherrime, ac personabat, quibus solebat suam senectutem in solitudine delectare». Nella vita di Dante dettata tra il 1840/44 da Melchiorre Missirini si può leggere: «Questo suo delicato amore per la musica, nato si può dire con lui, lo recò quindi a spargere di musica la Divina Commedia (…)». Nella Commedia il suono assume un ruolo centrale, ad esempio nel Canto secondo del Purgatorio, in cui il Poeta incontra l’amico, musico e finissimo cantore Casella e gli chiede d’intonare per lui l’incipit di una canzone dello stesso Dante, commentata nel III Trattato del Convivio:«Amor che nella mente mi ragionaCominciò allor sì dolcemente Che la dolcezza ancor dentro mi suona».

Il nostro percorso ci ha portato, è vero, lontano, ma non possiamo che prendere atto della vivacità di un mondo di cui dobbiamo mantenere coscienza. Un salto nel tempo e nel Cinquecento, in pieno Umanesimo, si intendeva, tra l’altro, propugnare la rinascita della tragedia greca, ritenendo che queste non fossero recitate, bensì cantate interamente, sia dai singoli interpreti, sia dal coro.Nel Rinascimento la musica profana non solo ebbe piena dignità d’arte, ma acquistò un significato spirituale; fu soprattutto musica di corte, legata ad una nuova aristocrazia ricca e colta. In questo periodo si sviluppa la figura del mecenate, ovvero di colui che si circonda di artisti e li mantiene in cambio della loro presenza e dei loro servigi. Per tutto il Rinascimento le corti italiane furono il centro della vita musicale europea e il punto d’incontro per tutti i musicisti, che allietavano con le loro composizioni, tutti i momenti salienti: feste banchetti, ricevimenti. Lo sviluppo del concetto di festa in musica che è spettacolo, che abbiamo giocosamente nomato il Festeggiar Cantando, prende adesso forma, sempre con maggiore consapevolezza, inevitabilmente nello stretto connubio tra poesia e l’arte dei suoni, ovvero, nel rapporto fra la letteratura e musica. In questo periodo vi è un notevole sviluppo della musica vocale, così come l’evoluzione di certi strumenti precedentemente utilizzati nel Medioevo. E’ proprio in Italia, in questo particolare contesto storico culturale, che nasce il primo teatro moderno.Il teatro italiano -cito Silvio d’Amico- è stato il:«Primo in ordine di tempo fra tutti i moderni teatri d’Europa influì sulle sorti di tutti gli altri, dai quali essi appresero:1°, la tradizione classica e in genere lo spirito del Rinascimento;2°, l’arte dell’attore;3°, la scenografia moderna;4°, infine, l’architettura del testo moderno».La musica vocale e strumentale era presente nelle rappresentazioni del teatro rinascimentale sotto l’aspetto di quelle che noi indichiamo con il termine musiche di scena. Composizioni occasionali in forma di madrigali e con funzione di prologhi ed intermezzi, sono ricordate nelle cronache sull’ Orfeo di Poliziano ed altri lavori teatrali. È stata conservata la musica composta dal ferrarese Alfonso della Viola per la favola pastorale Il sacrificio (1554) di Agostino Beccari, mentre è andata perduta la musica composta da Claudio Merulo per la Tragedia (1574) di Corrado Frangipani, spettacolo fastoso che la Repubblica di Venezia allestì per festeggiare degnamente Enrico III di Francia, in viaggio dalla Polonia alla volta di Parigi.

Ecco che i diversi elementi vengono a ricongiunsi, il concetto di festività in quello che verrà definito da qui a poco il recitar cantando. La dimestichezza dei musicisti con gli eventi del teatro rinascimentale accese lo stimolo ad intervenire con maggior peso nell’invenzione di nuovi modi rappresentativi. L’impegno di Andrea Gabrieli nel mettere in musica i cori dell’ Edipo Tiranno di Sofocle, tradotto in versi italiani da Orsatto Giustinian e rappresentato all’inaugurazione del Teatro Olimpico di Vicenza nel 1585, le reinvenzioni madrigalistiche della commedia dell’arte compiute in alcune commedie armoniche di Orazio Vecchi (L’Amfiparnaso) e di Adriano Banchieri (La pazzia senile e La prudenza – o Saviezza – giovanile). Un breve inciso, certamente questa genere sarà alla radice, ad esempio, nell’arte di un compositore quale Giovanni Battista Lulli, cognome poi francesizzato alla corte di Luigi XIV in Lully, da cui si svilupperà un genere ben preciso che caratterizzerà uno stile musicale che, nel suo evolversi, criticamente, porterà nel lontano Settecento a una svolta fondamentale per la storia del teatro in musica. La civiltà rinascimentale era aperta a nuove forme di teatro e di spettacolo, era ansiosa di sostituire l’esausta tradizione del teatro devozionale e di procedere al di là dei componimenti teatrali di derivazione classica recentemente scoperti. Tra la commedia e la tragedia si era insinuato con successo il nuovo genere teatrale, ovvero la favola pastorale, idilli scenici nei quali si muovevano personaggi mitologici e pastori di maniera. Il modello era stato la Fabula di Orfeo scritta da Angelo Poliziano. Il mito di Orfeo, Orfeo e Euridice, che resta a tutt’oggi un punto fondamentale di riferimento per letteratura e musica.Il Rinascimento è un momento particolarmente florido per il canto, è di questo periodo la nascita del madrigale, brano polifonico piuttosto complesso per quanto riguarda l’organizzazione delle voci. Il madrigale nasce con lo scopo di descrivere attraverso la musica ciò che il testo contiene. Infatti i madrigalismi sono una specie di traduzione in musica del contenuto del testo; per esempio, se il testo contiene la parola cielo, la musica sale verso l’acuto, così come se il testo contiene la parola cuore la musica presenta una pulsazione che fa ricordare l’organo cardiaco. E’ una pratica che caratterizzerà, nei secoli successivi, la musica di molti compositori, ad esempio, da Mozart a Giuseppe Verdi.Tra i compositori italiani molto apprezzati nella produzione madrigalistica vanno ricordati Luca Marenzio (1533 – 1599) e Claudio Monteverdi (1567 – 1643). Aspetti tipici della scrittura musicale polifonica iniziarono però, verso la fine del Cinquecento, ad essere messi in discussione, ovvero l’intreccio polifonico di più voci autonome che rendeva difficoltoso comprendere il testo che veniva cantato.

Nella musica polifonica, infatti, si rilevava la difficoltà di comunicare le emozioni o, come venivano chiamate allora, gli affetti, giacché l’affetto, essendo legato alla sfera individuale, personale, difficilmente poteva essere veicolato da un intreccio di voci distinte, appartenenti a un gruppo composto da persone diverse. L’interiorità di ogni individuo ha infatti un suo specifico affetto, un suo proprio modo di vivere quell’emozione. Di questi due problemi si dibatteva negli ultimi decenni del Cinquecento a Firenze, in casa del Conte Giovanni Bardi, dove si ritrovarono vari intellettuali e musicisti dell’epoca in quella che fu definita La Camerata dei Bardi o Fiorentina. Tra di essi vi era anche Vincenzo Galilei (c.1520 – 1591), padre dello scienziato Galileo Galilei e del liutista Michelagnolo. La Camerata era formata da gruppo di nobili che si incontravano per discutere con passione ed impegno di musica, letteratura, scienza ed arti, nota per aver elaborato gli stilemi che avrebbero portato alla nascita del melodramma, o meglio ancora di codificare quel recitar cantando da cui l’occasione di questo nostro “incontro”. A palazzo Bardi in via de’ Benci a Firenze si tenne la prima assise della Camerata di cui si ha notizia il 14 gennaio del 1573, durante le riunioni indagavano il modo di ricreare la musica greca che, a loro opinione, era perfetta e più espressiva di quella della loro epoca. I musicisti Vincenzo Galilei, Jacopo Peri, Giulio Caccini, Emilio de’ Cavalieri; il poeta Ottaviano Rinuccini; i conti gentiluomini: Giovanni Bardi, Jacopo Corsi, Piero Strozzi; l’insigne studioso di musica della Grecia antica Gerolamo Mei ed altri, si trovarono concordi con l’intuizione di come entrambi gli aspetti problematici si sarebbero risolti passando dalla Polifonia alla Monodia accompagnata, ovvero a un tipo di canto affidato a una voce singola sostenuta da un accompagnamento. Le loro riflessioni accoglievano tra l’altro quei fermenti che già da tempo si ravvisavano nella musica. Lo sviluppo della tematica portò, in campo musicale, alla elaborazione di uno stile recitativo in grado di cadenzare la parlata corrente ed il canto. Inizialmente questo stile fu applicato a semplici monodie o intermedi per poi essere applicato a forme compositive più articolate. Il conte Bardi e i suoi amici, forse, non lo sapevano, ma stavano edificando il futuro: teatro in musica. Da tutte queste riflessioni e da tutti questi stimoli nasce l’idea del recitar cantando, ovvero di un dramma in cui, secondo il modello dell’antico teatro greco, i personaggi anziché recitare le loro battute, le cantano. Un dramma, quindi, tutto in musica: il melodramma.Le tesi della Camerata fiorentina furono esposte nel 1581 da Vincenzo Galilei nel Dialogo della musica antica et della moderna. Sempre Vincenzo Galilei, si cimentò in pratica nella realizzazione musicale di quanto esposto in teoria nel suo Dialogo e compose Il lamento del conte Ugolino dall’ Inferno di Dante e inoltre alcune lamentazioni del profeta Geremia per la Settimana Santa, per voce con accompagnamento di viola, che purtroppo sono andati perduti. In tal modo, visto che si trattava di canto a una voce sola, le parole diventavano comprensibili. Soprattutto era così possibile veicolare le emozioni, gli affetti suscitati di volta in volta dal testo poetico che si stava intonando. La linea vocale tende ora, volutamente, a essere poco melodica, una via di mezzo tra il recitare e il cantare: l’impressione è quella di una recitazione parlata e musicale, con delicata espressività. Affinché la voce solista sia valorizzata al massimo è necessario che l’accompagnamento sia leggero e nello stesso tempo in grado di sostenere al meglio tutti i cambi di emozione che il cantante esprime nel suo recitar cantando e di assecondarli. Viene per questo motivo inventato, parallelamente alla monodia accompagnata e dunque al melodramma, un nuovo modo di accompagnare, ovvero il basso continuo. Il basso continuo, strettamente associato con tutti i generi di musica del periodo barocco, è il sostegno armonico-strumentale che accompagna le parti superiori della composizione dal principio alla fine. Il fortunato madrigale comincia a decadere, evolvendosi in forme più originali. È un madrigale che ha perso, testualmente, la composta eleganza della tradizione petrarchesca, rivolgendosi ad autori che, in quanto maestri della sonorità della parola, dei giochi verbali e della sensualità delle immagini, meglio si confaceva allo spirito dell’evoluto genere, per l’appunto, madrigalesco. Oltre al mutato madrigale, nasce un genere ibrido: la Cantata.

Potremmo definirla come una forma musicale vocale, formata da una sequenza di brani come arie, recitativi, duetti, cori e brani strumentali. In realtà, è così forte la contaminazione di generi nel ‘600, che attribuire definizioni più rigidamente tassonomiche, ovvero una forzata disciplina della classificazione, sarebbe rischioso quanto limitativo.La raccolta fondamentale in questo senso fu quella di Lodovico Grossi da Viadana che ebbe, probabilmente, ritengo sicuramente, anche un testo basato sulla melodia della cosiddetta Aria di Fiorenza o Ballo del Granduca, un brano composto a fine XVI secolo da Emilio de’ Cavalieri che fu un vero tormentone dell’epoca, se ne conoscono oltre 120 versioni coeve o successive. E’ con Lodovico Grossi da Viadana che per la prima volta troviamo indicata la voce Concerto. La parola assume la strana forma di termine chiave di cui però non si è ben capaci di delinearne i tratti semantici, finendo per essere utilizzata genericamente per indicare tutti i nuovi tipi di sonorità di quegli anni. Il termine si potrebbe far risalire alla sua origine latina (concertare nel senso di combattere insieme) e nell’uso quotidiano la si usa per definire l’atto di riunire più componenti sonore diverse, vocali e strumentali, o solistiche e corali, o organizzate sulla base di stili compositivi differenziati, o cori contrapposti.Il recitar cantando, che segna nel 1600 la nascita dello stile melodrammatico, ha quindi il suo riferimento genetico nel Madrigale cinquecentesco italiano, di cui uno degli ultimi rappresentanti è Gesualdo da Venosa, un genere che, anticipando di alcuni secoli il Lied, rappresenta la più genuina espressione del connubio tra il verso e la melodia in cui, quest’ultima, ricerca una nuova tonalità espressiva.Le varie Euridice di Peri e Caccini, affrontano e risolvono per l’epoca il rapporto tra parola e suono, forma di linguaggio misto, che è teso ad esprimere con mirabile comunicativa sentimenti e passioni, prassi questa che resterà quale punto di riferimento nei secoli. Basti pensare, ad esempio, che tra fine Ottocento, inizio Novecento sarà proprio questa prassi che ispirerà a Giacomo Puccini quel canto di conversazione che costituisce l’esito più alto nel nostro tempo della formula, vecchia ormai di quattro secoli, del recitar cantando, sulla quale poggia gran parte del teatro musicale sino a tutto il primo Novecento. Il recitar cantando, con il festeggiar cantando: feste, musica, eventi grandiosi, trovano il loro apice in occasione di alleanze matrimoniali che allietavano Firenze e le altri capitali dei così detti regni o stati italiani.

Una di queste occasioni a Firenze furono i grandiosi festeggiamenti in occasione del matrimonio di Cristina di Lorena, nipote favorita di Caterina, prima della famiglia Medici a divenire regina di Francia, con il granduca di Toscana Ferdinando I, che nel frattempo aveva rinunciato alla dignità cardinalizia.I festeggiamenti nuziali durarono ben quindici giorni: ebbero inizio il 1° e continuarono fino al 15 maggio. Cristina sposò Ferdinando de’ Medici nel 1586 per procura, ma si recò a Firenze solo nel 1589, quando vennero allestiti grandiosi apparati decorativi in tutta la città. Accanto al tradizionale gioco del “calcio” in piazza Santa Croce, a tornei e combattimenti di animali, essi comprendevano tre commedie, di cui La Pellegrina di Girolamo Bargagli, con sei Intermedi, rappresentata nel teatro posto al primo piano degli Uffizi. Gli Intermedi si presentavano come “spettacoli totali” o “globali”, dal momento che coinvolgevano, intorno ad argomenti mitologici, pastorali o allegorici, musiche vocali e strumentali, pantomine e balli, che impiegavano fastose messinscene, variate mediante l’impiego di macchine teatrali. All’Intermedio o meglio Intermedi fiorentini va riservata una particolare attenzione. Benché venissero interpolati come riempitivo o diversivo tra gli atti o le scene di commedie recitate in occasione di solenni cerimonie di corte, erano di fatto forme autonome, così come lo saranno i settecenteschi Intermezzi buffi. Gli intermedi del 1589 sono considerati il più diretto antecedente dell’opera in musica, anche perché ad essi collaborarono alcuni dei musicisti della Camerata Bardi. Uno dei motivi dell’interesse storico che rivestono questi intermedi è l’adozione, in molti brani, dello stile concertante. Gli esecutori erano spesso cantori professionisti che non si limitavano ad eseguire le melodie scritte, ma le arricchivano di improvvisazioni secondo la tecnica detta della “diminuzione” che consisteva nel seguire l’andamento melodico riempiendo però le note, specie le più lunghe, con fioriture di note più rapide, procedimento che veniva detto anche “cantare di gorgia”. Tra gli interpreti dei sei Intermedi a Firenze troviamo Vittoria Archillei, protagonista del primo degli Intermedi eseguito nel Regio Salon di Palazzo, dedicato al concetto neopitagorico dell’Armonia delle sfere, con musica del marito della cantante, il compositore Antonio Achilleri. Vittoria Archillei era posta su una nuvola e sullo sfondo di Roma. Interessante la descrizione dell’ambientazione del terzo Intermedio con musica di Luca Marenzio, dove si rappresentò la lotta di Apollo con Plutone e dove lo scenografo Bernardo Buontalenti rappresentò il mitico mostro: «(…) con l’aliacce distese, pieno di rilucenti specchi, e d’uno strano colore verde e nero e con una smisurata boccaccia aperta, con tre ordini di gran denti, con lingua fuori infuocata, fischiando e fuoco e tosco vomendo».Lo scopo di riportare in auge la tragedia greca si concretizzò alcuni anni dopo, con la Dafne e con il dramma mitologico-pastorale l’Euridice di Jacopo Peri su libretto di Ottavio Rinuncini. L’occasione per l’ Euridice del Peri furono le nozze di Maria de’ Medici, figlia del granduca di Toscana Francesco I, con Enrico IV di Francia, celebrate nel Duomo di Firenze il 5 ottobre del 1600.

Il melodramma musicato dal Peri fu allestito per la prima volta a Palazzo Pitti, il successivo 6 ottobre. Durante le grandi feste nuziali fiorentine del 1600 fu rappresentata anche la prima opera di Giulio Caccini Il rapimento di Cefalo. Nello stesso anno Caccini completò e fece pubblicare le sua Euridice, sugli stessi versi del Rinuccini che erano serviti al Peri. L’opera fu rappresentata nel 1602. Queste composizioni rappresentavano una novità preziosa e ricercata da esibire nelle occasioni rappresentative; gli apparati celebrativi e conviviali si arricchivano dell’intervento di musicisti e cantanti “corteggiati” dai principi d’Italia.Un altro musicista molto attivo nella Camerata fiorentina è Emilio de’ Cavalieri, che si trasferì successivamente a Roma. Non si deve, però, ritenere che le prime opere si basassero esclusivamente sul recitar cantando. Anche per fini di varietà, oltre che per esigenze teatrali, i recitativi erano intercalati da brevi arie strofiche e cori. Fra gli strumenti predominavano quelli ai quali era affidata la realizzazione del basso continuo: clavicembalo, chitarrone, lira e liuto. Tra i principali autori di raccolte monodiche è Claudio Monteverdi che ci conduce alla corte di Mantova. Risaliamo nel tempo, ovvero a Francesco II Gonzaga che nel 1490 si unisce in matrimonio con Isabella d’Este e da questo evento la corte mantovana diviene il fulcro di un genere di mecenatismo assai ampio che abbracciava le lettere, le arti figurative e la musica. Isabella era cresciuta a Ferrara, dove suo padre le aveva assicurato una completa educazione umanistica. Grazie alle sue lettere, sappiamo che era un’esperta musicista: sapeva suonare la cetra e aveva studiato il liuto con Angelo Testagrossa; cantava, ed era in grado di suonare gli strumenti a tastiera.Nel corso del penultimo decennio del Cinquecento, la vita musicale ferrarese alla corte estense, da cui proveniva Isabella, era dominata dal Concerto delle Dame che acquistò un’ottima reputazione attraverso l’Italia per le sue brillanti esecuzioni vocali in stile fiorito.Sorpresa dopo sorpresa, una breve pausa dal tema del Festeggiar cantando o meglio una variazione o tema di follia, per un fatto curioso che unisce il compositore Giulio Caccini, componente della Camerata de’ Bardi e autore de l’Euridice, a un fatto che potremo definire di cronaca scandalistica dell’epoca, che vede quale protagonista un Gonzaga. La così detta prova di efficienza sessuale di Vincenzo, pronipote di Francesco II Gonzaga. Vincenzo Gonzaga nel 1581 aveva 19 anni ed era convolato a nozze con la quattordicenne Margherita Farnese dei duchi di Parma. Margherita aveva una buona dote, rendite per 300.000 scudi, un ricchissimo corredo e un padre potente; tutto faceva presagire un buon matrimonio dinastico. Il padre di Margherita, Alessandro Farnese governatore dei Paesi Bassi Spagnoli, aveva richiesto a Guglielmo Gonzaga, padre di Vincenzo, di celebrare con grandi fasti questo evento ingaggiando cantanti di fama consolidata, con lo scopo primario di impiegarli nei festeggiamenti nuziali. Tutto ciò, non servì a niente; la povera fanciulla fin dalla prima notte di nozze si rivelò affetta da una grave malformazione che le impediva l’unione carnale. Dopo due anni e ripetute visite mediche i Gonzaga riuscirono a fare annullare il matrimonio e la povera Margherita finirà in convento come badessa, col nome di Maria Lucina. Il fatto non fu gradito dai Farnese, soprattutto da Ranuccio, fratello della ragazza, che odierà Vincenzo e i Gonzaga per tutta la vita. Per l’accaduto si sfiorò una guerra e Ranuccio Farnese si prodigò nel riversare fiumi di maldicenze su Vincenzo, asserendo che la colpa del fallimento matrimoniale fosse del Gonzaga, che essendo impotente avesse nascosto la cosa corrompendo i medici che avevano visitato Margherita. Vincenzo Gonzaga, era ben conosciuto per essere signore di facili costumi e tanto perpetuò la sua fama che a metà Ottocento Francesco Maria Piave, librettista del Rigoletto, opera tratta dal dramma di Victor Hugo e musicata da Giuseppe Verdi, dovendo subire a Venezia la censura austriaca sull’originaria ambientazione, si riferì proprio a lui per la trasposizione dalle dissolutezze dalla corte francese a quelle della corte mantovana. A causa di tutte queste maldicenze, quando i Gonzaga contattarono il granduca di Toscana Francesco I de’ Medici, chiedendo per Vincenzo in sposa la figlia Eleonora de’ Medici, sorella di Maria regina consorte di Francia, vennero avanzate delle perplessità. Da aggiungere che la seconda moglie del granduca Francesco, Bianca Cappello matrigna di Eleonora, era giunta al matrimonio dopo una vita non propriamente limpida e su di lei circolavano libelli che iniziavano con: «Il granduca di Toscana ha sposato una puttana».

Questa unione era stata più che criticata dai Gonzaga ed era l’occasione per la grande vendetta. La granduchessa Bianca pur dichiarandosi favorevole all’unione delle due casate e non avrebbe potuto dichiararsi altrimenti, chiese rassicurazioni che le maldicenze messe in giro dai Farnese sull’impotenza di Vincenzo Gonzaga non fossero veritiere. La “commedia” ha inizio con una lettera che il cardinale Francesco Cesi manda da Bologna a Firenze; gli è stato chiesto di informarsi segretamente sulla virilità di Vincenzo e il porporato si affida alla testimonianza di un medico di corte a Mantova, ma questi, dalla lettera, sembra non abbia realmente visitato il Gonzaga e riferisca ciò che ha sentito dire da altri. Tanto per concludere il “dramma giocoso”, il presunto medico afferma che il soggetto probabilmente soffre anche di mal francese. A questo punto i Granduchi di Toscana, più incerti di prima, pretendono una prova di virilità fisica, senza la quale il matrimonio non si farà. Per la prova verrà scelto un territorio neutro, a Venezia e come giudice Cesare d’Este. In tutta questa intricata faccenda, viene chiamato da parte medicea il politico Belisario Vinta, incaricato al difficile compito di trovare la vergine adatta per accertare le doti virili del futuro sposo. Scartate in molte, viene scelta una Giulia detta di Casa Albizzi, di 21 anni, probabilmente abbandonata da una serva della casata. Il Vinta così la descrive: « (…) è grande, ha cera nobile, né magra né grassa, ha viso da piacere, al mio giuditio (…) allevata bene, però modesta e vergognosa, pure par desta, di conoscimento et di spirito». Le si fece confezionare un abito ricamato e le promisero per il disturbo, è scritto 300, ma furono 3.000 scudi e un marito. La sera dell’11 Marzo 1584 Vincenzo, anch’egli ventunenne, arriva all’appuntamento nella casa dell’ambasciatore del Granducato di Toscana a Venezia (in una lettera la casa viene indicata come casino dei toscani), accompagnato dai suoi, cito testualmente: “«con tracotanza e sicurezza», pieno di cibi piccanti e ostriche considerati afrodisiaci e si suppone con qualche bicchiere di troppo. Il primo tentativo finisce male, alle ore 19, il futuro duca di Mantova esce dalla camera piegato in due e dice «ohimè stò male»; i Gonzaga sono costernati. Vincenzo ha una seconda occasione quattro giorni dopo, in modo che abbia tempo di rimettersi e il 15 marzo 1584, la prova si ripete. Questa volta il giovane si mostra sobrio, affabile, scherzoso. Così riferisce il cavaliere Vinta, da arguto toscano di Volterra: «Entrata la fanciulla nel letto, il Sig. Principe alla mia presenza si disvestì et lo rividi tutto ignudo, che si mutò di camicia, et con le sue armi naturali entrò in steccato (…)». Giulia! Che fine fece? Ci riferiscono alcuni storici e anche Maria Bellonci se ne occuperà in una delle ricerca per i suoi romanzi storici: «Lei venne fatta sposare con una grossa dote di 3.000 scudi ad un musico di corte, tale Giulio romano, ovvero Giulio Caccini, famoso artista della Camerata dei Bardi».Giulio Caccini, precedentemente caduto in disgrazia per una squallida vicenda che non ci è nota, sposando Giulia oltre a rimpolpare le proprie finanze, rientrò nelle grazie dei Gonzaga. Lei morì giovane, prima del 1600, lasciò diversi figli del Caccini, tra questi, nata però da seconde nozze, la famosa cantante e compositrice Francesca Caccini detta la Cecchina! Dopo questo fatto, che potremmo ricondurre scherzosamente al genere dell’Intermezzo semi-buffo, linguistico o divagazione sul tema, riprendiamo il filo del nostro discorso, per concludere. Abbiamo visto come in epoca rinascimentale la musica assurgeva in Italia sempre più a elemento di cultura e diletto delle classi alte e medie ed aveva una parte importante nella vita privata; musicista era persino un filosofo raffinato quale Marsilio Ficino; anche Leonardo, Benvenuto Cellini, Salvator Rosa erano bravi cantanti e suonatori. Nelle corti di Firenze, Mantova e Ferrara musicisti di fama, italiani o stranieri, vi trovano onorevole accoglienza. In questa atmosfera, ma ne avremo molti esempi anche nei secoli successivi e ancora sino a tutto il ‘900, si vennero a formare dei veri e propri nuclei familiari di musicisti, compositori, cantanti.

Ricordiamo nell’Ottocento la famiglia di Manuel Garcia padre, tenore, compositore e impresario, tra l’altro primo interprete de Il conte d’Almaviva nel Barbiere rossiniano, con il figlio primogenito il baritono Manuel jr e le figlie Maria Malibran e Pauline Viardot. Per citare un altro esempio, a Lucca, la famiglia da cui a metà Ottocento nacque Giacomo Puccini. Da quattro generazioni i Puccini erano Maestri di Cappella del Duomo di Lucca e fino al 1799 i loro antenati avevano lavorato per la prestigiosa Cappella Palatina della Repubblica di Lucca. Famiglia di musicisti tra XVI e XVII secolo, quella degli Archillei. Grande notorietà ebbe Antonio Archilei, di cui abbiamo accennato in occasione dell’Intermedio da lui musicato in occasione delle nozze tra Cristina di Lorena e Ferdinando de Medici. Compositore, cantante e liutista; fu al sevizio di Alessandro Sforza, Cardinale di Santa Fiora a Roma, passando poi nel 1584 al sevizio del cardinale Ferdinando de’ Medici. Quando il suo protettore divenne Granduca di Toscana (1587), lo seguì a Firenze con la moglie, la cantante Vittoria, che aveva sposato nel 1578 e con la figlioletta Margherita. Sua moglie, Vittoria Archilei, era fra le più apprezzate interpreti del momento. Ne abbiamo ricordato il trionfo quale interprete dell’Armonia Doria nel primo Intermedio eseguito a Firenze con musiche del consorte. Le lodi di straordinaria maestria le furono riservate ad ogni sua esibizione, con crescente entusiasmo. I più illustri musicisti dell’epoca lodarono la sua bravura e le sue doti sceniche. Vittoria Archilei, nata Concarini, detta la Romanina, oltre ad essere una cantante lirica era anche una capace liutista. Sia Jacopo Peri nella dedicatoria dell’Euridice del 1600, sia Giulio Caccini nella prefazione della sua Euridice, decantarono sommamente la cantante: l’uno per aver adornato le sue musiche; l’altro per: « (…) la nuova maniera de’ passaggi e raddoppiate inventate da me, quali ora adopera, cantando le opere mie, già è molto tempo, Vittoria Archilei, cantatrice di quella accellenza he mostra il grido della sua fama».Nasce, nel festeggiar cantando, la figura delle primadonna. Quattro secoli prima di Maria Callas.

Vincenzo Grisostomi Travaglini

Il Maestro Vincenzo Grisostomi Travaglini (Photo credits: Giovanni Pirandello)

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