“Dolce piacere: l’amore in musica”, un articolo di Sisowath Ravivaddhana Monipong nella rivista “L’Opera International Magazine” di Febbraio 2021

Le corti reali, luoghi di potere e di divertimento, costituiscono un terreno di gioco ideale per l’espressione plateale del sentimento amoroso, lecito o no, che nell’arco dei secoli, ovunque sia, svelerà tanti segreti di alcova per il grande piacere del pubblico. L’usanza dell’Amour Courtois (o corte d’amore) risale nella tradizione occidentale allo splendore dei Conti di Tolosa nel paese della Lingua d’Oc e alla sua raffinatezza in termini di poesia e di musica. In particolare, alla metà del XII° secolo, il conte Raimondo V era rinomato per il suo gusto per le arti musicali e la protezione accordata a corte ai trovatori. Tra l’altro, uno dei questi trovatori aveva provocato un scandalo importante all’austera corte di Francia, quando il re Luigi VII era sposato con Constanza d’Arles, nobildonna del meridione che proteggeva Marcabruno, un trovatore che fu cacciato dalla corte dal sovrano, dopo aver composto una romanza un pochino spinta, probabilmente in onore della regina!

In seconde nozze, Luigi VII sposò la famosa Eleonora d’Aquitania, che diventerà poi la moglie del re d’Inghilterra, portando con sé i possedimenti del Sudovest della Francia, che rimarranno inglesi per più di cinque secoli. Oltre ad essere una donna con una grande sensibilità politica, si dice che la regina Eleonora avesse un temperamento focoso che la portò ad avere una relazione intensa con uno dei trovatori protetti a corte, il galante Bernard de Ventadour, le cui opere sono ancora oggi considerate come i modelli perfetti della canzone di corteggiamento del Medioevo.

Come abbiamo notato, in Europa la tradizione dell’amore in musica a corte risale dal Sud verso il Nord e ci sarà un ulteriore esempio di questo fenomeno nel 1600, quando il re di Francia e di Navarra Enrico IV si risposò con Maria de’ Medici, che si rivelò essere una grande ballerina e amante della musica. Questo gusto la regina lo passerà a suo figlio, il futuro re Luigi XIII, che imparò a suonare il liuto all’età di tre anni sulle ginocchia di sua madre. Molto presto, il giovane principe prese interesse per la danza e suo “migliore amico” e consigliere, nonché favorito, il Duca di Luynes, ordinò la composizione di molti ballet alla gloria dell’amato sovrano. Si sussurrava che l’amore del Duca per Sua Maestà non fosse privo di un certo opportunismo, anche se la sua espressione era nota per la tenerezza e gli sguardi languidi dei due protagonisti. Tuttavia, il giovane re rimase famoso per la grazia ed il suo dono per la pavana di corte (un francesismo che significa il sapersi pavoneggiare a corte per farsi ammirare), accanto a tutti i suoi favoriti, seguendo in questo l’esempio di suo padre, Enrico IV che ordinava sempre ai migliori guerrieri della nobiltà di ballare per lui per festeggiare le vittorie militari senza, però, coltivarne l’intimità, come farà suo figlio e successore.

Sempre in Francia, il regno di Luigi XIV vedrà l’ascensione alla celebrità di un maestro di musica e di ballo di origine italiane, Jean-Baptiste de Lully. Amando appassionatamente il suo lavoro e il suo re, Lully non mancherà mai l’occasione di assecondare ogni tipo di richiesta artistica per esaltare la gloria del Re-Sole. Una storia “dolorosa” e divertente è riportata da diversi storici dell’epoca, a proposito di una composizione di Lully che rimarrà molto famosa senza essere attribuita al suo vero autore: nel 1686, Luigi XIV ha 48 anni. La regina Maria Teresa è deceduta da tre anni e il re si è risposato morganaticamente con la sua favorita, la pia e premurosa marchesa de Maintenon. Essendo particolarmente goloso, il sovrano ha una digestione difficile e subisce molti clisteri; purtroppo è venuta a formarsi una fistola anale che lo fa soffrire terribilmente. Di fronte all’incapacità dei medici di corte a sollevare il reale paziente, il suo ministro Louvois suggerì di chiamare il barbiere chirurgo di Sua Maestà, Felix, per procedere alla delicata operazione dell’ablazione della fistola. All’epoca non esisteva nessun tipo di anestesia e l’operazione durerà tre ore e farà soffrire atrocemente il re. Per accompagnare il sovrano nel suo infortunio, la marchesa de Maintenon ordinò a Lully di comporre un inno per implorare il Creatore di salvare il monarca. Fu Madame de Brinon, preside della Maison Royale de Saint Louis che ne scrisse le parole: Grand Dieu sauve le Roi che furono cantate durante l’operazione dalle Demoiselles de Saint-Cyr, giovani fanciulle di famiglie nobili povere, educate nell’istituzione creata appositamente dalla Maintenon. Haendel, di passaggio a Versailles nel 1714, sentirà il pezzo di musica, adatterà le parole in lingua inglese e lo presenterà a re Giorgio, che ne farà l’inno ufficiale della monarchia britannica. Cosi nacque il God save the King, al seguito della compassione devota della sposa del re di Francia!

Facciamo un salto nel tempo e ci ritroviamo nell’‘800 in Baviera. Nel 1846 regnava re Luigi I° della famiglia dei Wittelsbach, che darà alla posterità due altri illustrissimi sovrani, che saranno il re Luigi II e sua cugina, l’imperatrice Elisabetta, più conosciuta come Sissi. Una figura scandalosa, ma irresistibilmente affascinante, sbarcò allora dall’Inghilterra nella persona di Eliza Rosanna Gilbert, oramai famosa come la ballerina Lola Montez. Di origine irlandese, dopo aver trascorso una parte della sua infanzia in India, tornò in Inghilterra dove sposò un certo luogotenente Thomas James. Fece il suo debutto sul palcoscenico londinese come “ballerina spagnola” e diventò presto l’amica di cuore di Franz Liszt, che le darà l’occasione di conoscere il prestigioso cerchio degli amici di George Sand. Poco dopo il suo arrivo a Monaco, re Luigi I° s’innamorò follemente della ballerina e l’anno successivo le darà il titolo di Contessa di Landsfeld, il 25 agosto 1847. La sua influenza sul sovrano fu presa molto male dal popolo bavarese, Luigi I° fu forzato all’abdicazione l’anno seguente e la Montez fuggi negli Stati Uniti. Dopo molte peripezie e scandali diversi, dovuti principalmente alla sua propensione a ballare sul palcoscenico senza nessuna biancheria intima, la Montez andò in Australia nel 1855. Albert Denning compose la Lola Montez Polka dopo che la cortigiana danzante ebbe inseguito con una frusta Henry Seekamp, il caporedattore del Ballarat Times nella città eponima, che aveva scritto una recensione poco gradevole a proposito del suo ballo erotico detto del ragno davanti a 400 minatori, che chiedevano un “bis” e furono insultati violentemente dalla Montez, infuriata dalla loro mancanza di rispetto.

Lontano dalle turpitudini della corte bavarese, alla fine del secolo XIX, nell’esotica Asia del Sudest, una tragica vicenda romantica darà la nascita a un brano di musica classica che unirà per sempre nell’emozione artistica i regni dello Siam, del Laos e della Cambogia. “C’era una volta…”, perché questa storia è una fiaba che non finirà bene, con protagonista un principe reale siamese che rispondeva al dolce nome di Benbadhanabongse. Nato nel 1882, era il 38° figlio di Re Rama V Chulalongkorn e della principessa Morakot, nome che significa smeraldo in lingua siamese. Questo principe sviluppò molto presto un gusto per la musica e il canto. Malgrado questa vocazione artistica, suo padre lo mandò in Inghilterra per studiare le scienze agrarie e tornò in patria nel 1903, qui si occupò della promozione della tessitura della seta. Subito dopo essere tornato in Siam, il principe fu mandato in visita ufficiale nel principato di Chiang Mai, conosciuto per le sue sete chiamate Maatmi, dove regnava ancora una antica dinastia Lao. S’innamorò ardentemente della principessa Chomchuen, figlia preferita dei regnanti del luogo, che rispose favorevolmente al suo amore. Purtroppo i genitori respinsero la domanda del principe. Affranto dal dolore, il principe Benbadhanabongse scrisse la famosa romanza Lao Duang Deun che si potrebbe tradurre in Luna Laotiana del mio cuore, che lui stesso cantava quando sentiva la mancanza del suo amore impossibile. Rama V fece sposare quasi immediatamente suo figlio con una delle cugine, ma il principe mori tre anni dopo, sempre pensando alla donna del suo cuore. All’epoca, i due fratellastri Norodom e Sisowath, futuri re di Cambogia, dopo essere stati cresciuti insieme alla corte di Bangkok di re Rama V, portarono con Loro a palazzo reale di Phnom Penh questo pezzo di musica romantica, dove oggi è ancora eseguito sotto il nome di Reaksmey Duang Chan o Raggi della mia luna adorata.  

Più vicino a noi, alla fine del XX° secolo, c’è solo una figura reale, unica, che riuscì a scatenare un tale fervore popolare tale da ispirare musicisti e cantanti dell’epoca. Quando il principe Carlo d’Inghilterra sposò Lady Diana Spencer, nessuno poteva pensare che questa fragile e bellissima fanciulla di 19 anni avrebbe avuto un destino cosi eccezionale, quanto tragico. Non si era mai vista una principessa tanto amata dalla regina Astrid di Belgio dall’analogo destino, e quando la principessa Diana, stanca della sua disastrosa situazione matrimoniale, usci dalla riserva imposta ai membri della famiglia reale in occasione di una intervista alla televisione britannica, il popolo inglese rimase fedele all’affetto di Lad Di, che aveva osato sfidare la famosa regola del Never explain, never complain (niente spiegazione, niente lagne) dettata dalla grande regina Vittoria. Poi, fu il tempo in cui la principessa si lasciò andare al flusso imprevedibile delle passioni e diverse infatuazioni, portando con sé l’affetto di un popolo intero, che capiva il suo malessere, sino alla tragica scomparsa a Parigi nell’estate 1997. Malgrado il profumo di scandalo, la regina Elisabetta scese di persona ai cancelli di Buckingham Palace a vedere i fiori deposti a migliaia in omaggio alla principessa dei cuori. Durante il funerale, la pop star internazionale Elton John, amico intimo della principessa, fu autorizzato a cantare una delle sue più famose canzoni Candle in the wind che fu trasformato in Goodbye England’s Rose o Addio alla Rosa d’Inghilterra, non potendo ritenere le lacrime.

Dalle corte reali, dove la musica compie il suo ruolo di sostenitrice del potere monarchico, le romanze d’amore hanno trascorso i secoli, passando alla posterità molto spesso senza rivelare la prestigiosa identità degli autori o del reale mecenate che ne aveva ordinato la creazione. Chissà quante arie che cantiamo nel nostro quotidiano sono state composte per ricordare una storia d’amore tra una principessa e un contadino? La bellezza della musica di corte risiede, giustamente, nel fatto che trova quasi sempre il suo eco nella trascrizione popolare, versioni moderne di storie senza tempo che hanno saputo toccare i cuori di tutti.   

Sisowath Ravivaddhana Monipong

“Rispettare il passato e costruire il futuro attraverso la musica”, un articolo di Sisowath Ravivaddhana Monipong nella rivista “L’Opera International Magazine” di Gennaio 2021

Secondo l’antica tradizione, la musica lega il mondo degli umani alla dimensione divina tramite l’emozione che suscita nel cuore e nella mente di ognuno di noi. Dunque, la sacralità del legame dello Stato verso il popolo trova un’espressione di propaganda legittima nell’arte musicale, a fortiori in una monarchia, quando il compositore o l’interprete è il re o la regina. Se alla fine del medioevo, la musica sacra era riservata esclusivamente alle occorrenze religiose, l’emergenza del concetto di Diritto Divino della monarchia assoluta nel tardo ‘500 in Occidente porterà alla sacralizzazione della musica di Corte attraverso la presenza reale, specialmente quando il reale stesso se ne trova interprete, come attore o ballerino. Ad introdurre questa usanza a Corte fu la regina Caterina de Medici, che non solo portò in Francia le raffinatezze della cucina fiorentina, creando la fama internazionale della gastronomia francese, ma organizzò per la prima volta in Occidente la vita di Corte come un palcoscenico all’italiana. Oltre al milanese Cesare Negri per le figure di stile della coreografia, la regina Caterina chiese a Pompeo Diobono di insegnare i rudimenti del ballo ai suoi quattro figli e a Baldassare di Belgiojoso di elaborare delle regie sofisticate per ogni ballo di corte. Dopo la recita, dove molto spesso ai principi reali venivano assegnati ruoli molto importanti, la regina invitava i membri della Corte a raggiungere le Loro Altezze Reali nel ballo.

L’influenza artistica della regina troverà il suo apice al momento della creazione del cosidetto Ballet Comique de la Reine in occasione delle Joyeuses magnificences nel 1581, quando la regina Louise, moglie infelice di re Enrico III, festeggiava con fastose celebrazioni il matrimonio della sorella Margherita con il duca di Joyeuse, uno dei più amati “favoriti” del suo reale marito. Questo ballo è considerato come il primo pezzo coreografico con vera funzione spettacolare, anche rimanendo nel controllo totale del potere reale e manifestazione gloriosa della monarchia. Sia la musica che la coreografia dovevano riflettere la “perfezione cosmica” in movimenti armoniosi e accordi equilibrati tra i diversi strumenti dell’orchestra come simbolo dell’immanenza del potere del re nei confronti della crescente insoddisfazione popolare, che condurrà alla fine della dinastia dei Valois all’assassinio di Enrico III da un prete fanatico.

La fine dei Valois portò i Borboni al potere in Francia e se l’influenza italiana perdurerà soprattutto grazie a Maria, seconda moglie di Enrico IV anche lei una Medici, dobbiamo riconoscere che la supremazia dell’arte musicale, versione reale, sarà il risultato dell’alleanza dei Borboni con i loro cugini Asburgo. Anna d’Austria, dopo di lei la nipote Maria-Teresa e un secolo dopo, la pro-nipote Maria-Antonietta, concorrono allo splendore dei loro reali mariti. In una maniera personale per Anna e Maria-Antonietta e più passiva per quanto riguarda Maria-Teresa, moglie e prima cugina del re Luigi XIV. A corte regna il Sole ma per farlo splendere come un diamante, ci vuole una platea e tutti gli artefici, non solo i quattro fratelli Ruggeri che vi portarono i fuochi d’artificio, ma musicisti quali Jean-Baptiste Lully, Jean-Philippe Rameau o Marc-Antoine Charpentier, spenderanno la loro vita a scrivere canti, mottetti e lodi alla gloria del loro grandioso mecenate. Un contemporaneo di Luigi XIV, oltre che il suo primo cugino, Leopoldo I, imperatore del Sacro Romano Impero, tra le diverse guerre contro l’Impero Ottomano e i suoi tre matrimoni che gli daranno sedici figli, avrà il tempo e l’ispirazione di comporre opere di musica sacra, messe e oratori, senza, però, cadere negli eccessi dell’orgoglio e della vanità francesi nel mettersi in scena.

La regina Maria, moglie di Luigi XV di Francia, originaria della Polonia, inviterà a Versailles il famoso Farinelli per lezioni di canto, ma non è rimasto nessuna testimonianza delle sue doti per il canto lirico, insegnatogli dal castrato più celebre del tempo. Ovviamente, la regina più famosa per il suo gusto per la musica rimane Maria-Antonietta di Francia. Nata Asburgo, la giovane principessa arriverà in Francia molto candida e scoprirà con gioia la libertà e la “dolce vita” alla francese a Versailles e a Trianon. Si dice che la musica sacra non fosse di suo gradimento, malgrado una grande fede e la giovane regina si rilasserà ascoltando melodie alla moda e suonando, cantando, tra le quali la famosa romanza Plaisir d’amour, composta da Jean-Pierre Claris de Florian e messa in musica da Jean-Paul Martini (si sussurrava a corte che le parole fossero state scritte o almeno ispirate dalla regina stessa!) e le famose Dodici variazioni in Do maggiore di Wolfgang Amadeus Mozart sulla canzone francese Ah, vous dirai-je Maman, nota per le parole birichine che divertivano molto la sovrana e le sue dame d’onore. 

Durante l’800 e la prima parte del ‘900, i sovrani non hanno lasciato grandi impronte sulla musica e la danza, se non per essere grandi mecenati di noti compositori o musicisti, come ad esempio Luigi II di Baviera per Richard Wagner o gli ultimi Asburgo proteggendo Johann Strauss, padre e figlio. La politica, le guerre e la rivoluzione industriale allontanarono i reali dal loro amore per la musica e il ballo, per lasciare progressivamente la cultura popolare prendere il passo su quello che fu appannaggio esclusivo dei principi del passato. Dobbiamo aspettare la fine della Seconda guerra mondiale per finalmente ritrovare questo gusto della messa in scena di corte, questa volta, nel lontanissimo Oriente in un protettorato francese dove un giovane re era appena salito al trono: Norodom Sihanouk di Cambogia, nato nel 1922 e diventato sovrano della terra ereditata dei mitici imperatori di Angkor.

Re Sihanouk fu scelto dalla Francia per essere il sovrano della Cambogia contro tutte le attese. Dopo la morte di Re Sisowath Monivong nel 1941, tutti aspettavano di vedere quale successore suo figlio maggiore, il principe Sisowath Monireth, militare compiuto e poeta perfettamente francofono e francofilo. Invece, la Francia scelse suo nipote, l’innocente e affascinante Norodom Sihanouk, figlio della sorella maggiore di Monireth, la futura regina Kossamak, che molti analisti e politologi dell’epoca hanno paragonato alle regina Caterina de Medici. Coincidenza? All’ascesa al trono di suo figlio di 19 anni, la madre del re lavorerà senza sosta alla rinascita del Balletto reale di Cambogia. Il giovane Sihanouk confesserà più tardi preferire il jazz e la musica occidentale, ma entrambi, madre e figlio, avevano uno scopo in comune: mettere la musica e la danza al servizio della Nazione, magnificando la propaganda di stato in una maniere molto specifica, che renderà unico questo modello di gemellaggio tra potere reale e arte musicale.

Seguendo l’esempio di suo antenato, re Ang Duong, che mise in versi la storia di Kakey, la regina infedele (che ancora oggi è un classico del repertorio del Balletto reale cambogiano), la regina Kossamak fece tornare a splendere la danza classica cambogiana con apice negli anni ’60 del Novecento, grazie alla personalità carismatica di sua nipote, la principessa Norodom Buppha Devi, figlia primogenita di re Norodom Sihanouk e prima ballerina a tutti gli effetti della compagnia reale di danza. Dalla sua parte, re Sihanouk, principe genuinamente romantico, cominciò a comporre delle melodie dedicate ai suoi amori: bolero, tango e anche cha-cha-cha che furono i grandi successi degli anni ’50 a corte. Da notare che nel frattempo il re di Thailandia, Rama IX, Bhumibol Adulyadej, si dedicò al sassofono e alla composizione di brani jazz, molto gradevoli.

La differenza sostanziale dei due sovrani, vicini geograficamente ed anche apparentati, era lo scopo della loro musica. Re Sihanouk non ha mai nascosto il suo desiderio di fare conoscere  ai suoi contemporanei la Cambogia in crescita del dopo-guerra. La sua volontà era di creare una visione neutrale in piena guerra fredda e come membro fondatore del movimento dei Non-Allineati, ha sempre privilegiato il dialogo tra le parti, a una scelta drastica di partito. La Thailandia, invece, si è sempre dichiarata vicina alla politica americana e non è un caso se le famose spiagge di Pattaya diventeranno famose per i GIs americani in Rest & Recuperation durante la guerra del Vietnam … Ma torniamo alla musica di re Sihanouk! L’arrivo nella sua vita della regina Monineath nel 1952 darà maggiore impulso alla produzione artistica del sovrano. Brani come Monica, La sera del nostro incontro o Rosa di Phnom Penh sono dedicate all’amore tra lui e la regina, ma sarà lei ad insistere per farlo studiare all’Università delle Belle Arti e di promuovere la prima versione corale delle composizioni di re Sihanouk, cantate nello stile occidentale da giovani studenti durante cene ufficiali e funzioni di corte.

Nell’avvicinamento politico con la Cina di Mao Ze Dong e di Zhou En Lai, re Sihanouk offrì alla Cina un brano altamente simbolico, lodando l’amicizia tra i due popoli. Nello stesso anno, la Corea del Nord offre a Sua Maestà la trascrizione integrale della sua opera in versione sinfonica; la Repubblica Democratica Tedesca la trascrizione in una versione orchestrata alla maniera dei dancing dell’epoca. Grazie a questa scelta di vasta divulgazione e alla generosità degli amici della Cambogia, re Sihanouk, che nel frattempo si era lanciato nella produzione di film e di fiction realizzati professionalmente, poté fare crescere la popolarità delle sue composizioni, incorporandole nelle colonne sonore delle sue opere cinematografiche, dove recitavano membri della Famiglia reale, insieme al capo dello Stato maggiore e attori reali, sempre al servizio di una propaganda di stato per promuovere l’immagine di una Cambogia in pace e serena. Purtroppo, il tormento degli ’70 e il genocidio comunista metterà termine a questa epoca, che molti ricordano ancora come un’era d’oro delle arti performative in Cambogia.

Appena nuovamente possibile, però, Sua Maestà Sihanouk, dopo il successo degli accordi di Parigi nel 1991 e al suo ritorno trionfale a Phnom Penh il 14 novembre dello stesso anno, si dedicò nuovamente alla composizione e creò l’inno dello Stato di Cambogia, transizione politica che vedrà il ritorno della monarchia nel settembre 1993. Ricompare allora il tradizionale inno nazionale, il Nokoreach, composto da un musicista francese della Coloniale, con delle parole del veneratissimo “Papa buddista”, Samdech Sanghareach Chuon Nat.

La prima strofa dice:

«Gli angeli del paradiso proteggono il nostro re e gli danno felicità e gloria
Per regnare sulle nostre anime e sui nostri destini,
Quello che è, erede dei costruttori sovrani,
Guidando il fiero vecchio Regno
».

Ecco perché in Cambogia la musica, sacra o profana, non può essere slegata dalla sua origine fondamentale, che porta al rispetto del passato per costruire il futuro, nel rispetto delle circostanze presenti. La figura del sovrano è intoccabile, malgrado il terribile passaggio di una dittatura che ha tentato di cancellare ogni forma di arte e di cultura tradizionale. La voce del popolo si è espressa nel 1993 in libere elezioni, sotto il controllo delle Nazioni Unite, con il ritorno alla forma ancestrale di governo che ha portato alla restaurazione della monarchia; ancora oggi le composizioni di re Sihanouk sono conosciute da tutta la gioventù del Paese.